Il commerciante Pietro Sanua venne ucciso con una scarica di lupara all’alba mentre andava al lavoro al mercato di Corsico, con il figlio bambino accanto. Quel delitto fu subito inghiottito dalla cronaca, dimenticato da tutti. Il professor Nando dalla Chiesa se ne interessò quando era presidente della Commissione di inchiesta sulla corruzione nel commercio in Consiglio comunale, inserendolo nel rapporto finale. Anni dopo, nonostante non ci fosse alcuna sentenza al riguardo, lo fece inserire nell’elenco delle vittime innocenti di mafia. Così intorno a quel nome nacquero interesse e affetto, specie verso il figlio Lorenzo.
Figlio e moglie però non si davano pace per il fatto che tutto fosse stato archiviato. Davvero delitto commesso da ignoti? Ne parlarono con l’associazione SOS Impresa e chiesero che venisse finanziata un ricerca e che venisse affidata a Cross, almeno per capire in che ambienti e interessi potesse essere nato quel delitto nella Milano dei primi anni novanta. La richiesta venne accolta la richiesta con orgoglio dal professore, per la fiducia che esprimeva. Spiegando che non eravamo magistrati ma studiosi sociali e che sarebbe stato forse possibile comprendere le ragioni di sistema di quel delitto.
Vinse il bando un ricercatore figlio di un sindacalista (il dott. Mattia Maestri), che sentì tutta la responsabilità del compito. Insomma, alla fine il rapporto di Cross indicò quattro aree di interessi (sociali, istituzionali, di categoria, criminali), tra loro diverse ma che presentavano zone di sovrapposizione precise. E benché fossero passati ben più di 25 anni il rapporto diede una rappresentazione dell’accaduto così nitida e ragionata che, dopo la presentazione pubblica del libro nato dal rapporto intitolato “Pietro Sanua un sindacalista onesto e coraggioso. Le ragioni di un delitto ancora senza giustizia“, la Direzione distrettuale antimafia di Milano decise di riaprire l’inchiesta.
Qualche giorno fa, con evidente gioia della famiglia Sanua e di SOS Impresa, i giornali hanno dato notizia che le forze dell’ordine sono andate in Calabria e (28 anni dopo) hanno compiuto i primi provvedimenti nei confronti delle persone situate in quelle precise zone di sovrapposizione.
E’ la prima volta che una famiglia si rivolge a un’università per avere la verità (almeno concettuale) su un delitto che l’ha colpita; è la prima volta che la ricerca sociale genera non solo conoscenza ma anche, proprio grazie alla conoscenza, concreti percorsi di giustizia; disegnando una fattispecie del tutto imprevedibile di rapporto tra ricerca e terza missione.